ANDIAMO AL CINEMA

I consigli di ANDREA CORRADO, recensioni sulle pellicole in visione e analisi delle trame

LA DIVINA COMETA

In sala La divina cometa, viaggio di carne e poesia nell’Inferno Presepe

Ecco un’occasione da non perdere per vedere un cinema originale e suggestivo. E’ finalmente arrivato nelle sale La divina cometa, il film che Mimmo Paladino, artista, pittore, scultore, protagonista della transavanguardia italiana e internazionale,  ha presentato nello scorso mese di ottobre nella Festa del Cinema di Roma, e bisogna affrettarsi per non lasciarselo sfuggire e, magari, rivederlo e ritornare ancora a vederlo.

Sì, perché il lavoro cinematografico di Mimmo Paladino affascina, evoca, sollecita altre visioni e nuove letture. Tutto questo con una successione di inquadrature capolavori di luce e di posa, che restituiscono ‘senza paura, il coraggio di vivere nella bellezza’, come invoca uno dei personaggi del film. L’urgenza di rivedere La divina cometa arriva dal desiderio di rinnovare questo piacere ‘coraggioso’ e dalla necessità di individuare e comprendere i tantissimi riferimenti alla cultura alta e a quella popolare, soprattutto della tradizione napoletana, disseminati con cura da Paladino nel testo e nelle immagini. Come si fa nella caccia al tesoro oppure come avviene entrando nella wunderkammer, la camera delle meraviglie, nel film affidata alla custodia di Angelo Curti, uno dei tanti amici e sodali coinvolti da Paladino, come già avvenuto sedici anni fa in Quijote, apprezzatissimo e originale suo esordio nella regia cinematografica.

Allora l’ispirazione letteraria arrivava da Cervantes, questa volta è Dante, interpretato da Sergio Vitolo, con la sua Commedia a suggerire la storia o, meglio, la sequenza di quadri: dal treno scende una famigliola che inizia il suo vagabondaggio alla ricerca di un riparo e di un pezzo di pane, in parallelo il sommo poeta naviga guidato dalla bambina cometa, fino a iniziare il cammino nei gironi dell’inferno.

Il paesaggio in cui tutti, la famiglia e Dante, agiscono e si incrociano è quello del presepe, annunciato dalla citazione di Natale in casa Cupiello: grotte, un campo di calcio, cave, acquitrini, stazioni abbandonate, sono i luoghi in cui il poeta incontra i personaggi da lui stesso descritti (Ugolino, Paolo e Francesca, Caronte), insieme ad altri, da Glen Gould (Ettore Ianniello) e Giordano Bruno (Mimmo Borrelli) a Pontormo, interpretato da Giovanni Veronesi, e Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, affidato a Peppe Servillo. Come è tradizione a Napoli, ognuno di loro trova spazio nel presepe, al pari di Benino (Enzo Moscato) e di altre figure classiche. Non mancano i magi, che portano in dono le arti: la musica (Francesco De Gregori),  il teatro (Alessandro Haber), la pittura (Ferdinando Bruni) e la poesia (Nino D’Angelo), ai quali si aggiunge un quarto magio (Giovanni Esposito), portatore del nulla, dono irrinunciabile perché ‘il vuoto, l’attesa sono la disponibilità ad ascoltare’. Pitagora (Sebastiano Grasso), un suo discepolo (Emanuele Donadio) e un numerologo (Elio De Capitani) intervengono lungo il cammino in questa molteplicità di voci, imprecazioni, confessioni, interrogativi, per proporre una chiave di lettura del viaggio e dell’esistenza attraverso numeri e simboli. Con i numeri degli orari, dei binari e dei treni, nella desolazione di una ferrovia fantasma, si sfinisce un capostazione, affidato a Sergio Rubini, a citare il suo film di esordio dietro la macchina da presa.

Sono un godimento le versioni in napoletano delle parole di Giordano Bruno, del dramma di Ugolino, per un potente Toni Servillo, e delle sventure di Paolo e Francesca (Leandro Ianniello e Azzurra Mennella) alle cui narrazioni assiste senza proferire verbo Dante.

Una coralità perfetta, in cui nessuno è più protagonista di altri o, meglio, ogni personaggio aggiunge poesia e materia all’umanità composita del presepe di Paladino, in cerca di indizi e della cometa per tornare, forse, a ‘riveder le stelle’.